giovedì 31 ottobre 2013

IL PRIMO AMORE



Nel 1819 a casa Leopardi arriva una gentildonna pesarese, affascinante e bella: Geltrude Cassi Lazzari. E' il "primo amore" per il giovane poeta di Recanati, la prima grande illusione.

 "Oh come viva in mezzo alle tenebre
Sorgea la dolce imago, e gli occhi chiusi
La contemplavan sotto alle palpebre!...

[...]
Né gli occhi ai noti studi io rivolgea,
E quelli m’apparian vani per cui
Vano ogni altro desir creduto avea."
 
G. LEOPARDI, Memorie del primo amore.

venerdì 4 ottobre 2013

HASTA LA VISTA, MONSIEUR GARCIA

Lo vedi in piedi davanti alla panchina, con un completo scuro e la camicia bianca, e un'aria distratta da pianista incompreso. E magari, con la stessa indifferenza, gli scappa pure di prendere il telefonino e fare una chiamata. Come se si trovasse in una strada qualsiasi. Così appare monsieur Garcia, l'uomo che ai primi di ottobre ha portato la Roma al comando solitario della serie A.
 
Eppure quando fu presentato a inizio estate in pochi lo conoscevano. Siamo onesti, pochissimi. Che sia l'ennesimo santone, tante massime e pochi punti in classifica?, molti francamente si chiedevano. Pure il romanissimo Carlo Verdone, in una recente intervista televisiva a Quelli che, confessava il suo iniziale scetticismo. Chi lo aveva mai visto prima?, diceva con espressione di sorpresa. Poi, l'attore romano incontra  una volta Ernesto Bronzetti, l'agente e rappresentante di diversi atleti della nostra serie; e quest'ultimo gli mostra il personaggio Garcia, l'unico nella Ligue francese a essere stato in grado di contrastare il Psg miliardiario degli sceicchi, solo con la forza delle sue idee e un bel calcio mostrato sul campo.
"Sarà...", avrà forse pensato Verdone, senza però rivelarcelo. E probabilmente come lui tanti tifosi romanisti, appassionati e sfegatati, esperti di lunga data e pallonari della domenica. E qualcuno ha fatto anche di più, contestando a muso duro squadra e dirigenza (allenatore compreso) nei caldi mesi del ritiro estivo.
Ma ora monsieur Garcia si è presentato davvero e il suo inizio da campionato è da urlo. Una squadra compatta, capace di schierare in campo un geometrismo camaleontico che neppure un idealista come Zeman s'era mai immaginato di poter realizzare. E poi tre colonne a centrocampo dal nome De Rossi- Strootman-Pjanic in grado di sostenere qualsiasi urto e di far da trampolino da lancio per chiunque lì davanti, da Gervinho a Benatia, da Florenzi a Ljajic: avanti c'è posto per tutti per segnare, Totti in testa. E scusate il gioco di parole. Chapeau, mister!
Comunque ne sappiamo ancora poco di questo personaggio, che Massimo Cecchini sulla Gazzetta del 27 settembre ha definito come un "allenatore apparentemente lontano dal virus della 'fenomenite'." Più probabile che il nostro sia anche un vecchio furbacchione: in tutte le interviste rilasciate, dietro quella parlata cadenzata da macchinetta automatica di biglietti del treno, si nasconde sempre un mezzo sorrisetto beffardo. Come a dire, "Adesso vi rispondo seriamente, come volete voi, ma sotto sotto vi prendo proprio in giro, voi giornalisti italiani, così famelici...". E lui conosce bene, i suoi polli, Garcia. Lui che è francese ma di origini andaluse, italiano nella scaltrezza ma soprattutto latino nei modi di fare e abilissimo a capire chi e cosa gli sta attorno. " Un testimonial della latinità", lo ha definito Luca Valdiserri sul Corriere della Sera, sempre in data 27 settembre.
Un bel personaggio, il nostro franco-latino. Ma ora all'orizzonte si sta stagliando la figura di un altro uomo assolutamente singolare, all'interno del nostro variegato panorama calcistico: quell'italianissimo Walter Mazzarri, toscano di lingua  ma partenopeo nello sguardo furbo, con il quale il nostro "pianista distratto" dovrà misurarsi questo sabato sera in un'affascinante Inter-Roma. E così i nostri due pistoleri si sfideranno sulla polvere vespertina di quel di San Siro.  E uno dei due dovrà tirar fuori qualcosa in più per vincere questa sfida, oltre alla sottigliezza psicologica, oltre all'acume tattico, oltre alla sagacia retorica. Oltre al proprio patrimonio etnico e storico. E allora hasta la vista, monsieur Garcia.

domenica 25 agosto 2013

ENSEMBLE 2.0: VINCITORI

    Ensemble 2.0: vincitori
Ecco i vincitori della I Edizione del Premio Ensemble 2.0:
 
Sezione A POESIA SINGOLA
Patrizia Andreasi, Sara Di Gianberardino, Mauro Serra, Alessio Rizzitiello
MAURO SERRA
"Lungomare"
Per la forza delle immagini e lo stile asciutto che racchiude in sé il significato della poesia.
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Sezione C RACCOLTA DI POESIA
Virginia Guidi, Maria Pina Santoro, Valter Urbini
VIRGINIA GUIDI
"Poesie per una Storia strana e senza nome"
Un intenso viaggio poetico emozionante e raffinata. Una ricerca poetica che dimostra una certa capacità di manipolare il verso a proprio piacimento.
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Sezione D RACCONTO SINGOLO
Patrizia Andreasi, Catia Simone, Michele Canalini
MICHELE CANALINI
"Il signor Bruschino, una palliata rossiniana"
Per il linguaggio utilizzato, capace di spaziare nei diversi registri e tessere una storia ben costruita in ogni sua parte.
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Sezione E OPERA NARRATIVA
Roberto Aprile, Marco Onofrio, Francesco Grasso, Paolo Antonio Magrì
FRANCESCO GRASSO
"Il re bianco del Madagascar"
Un romanzo intenso in cui ad un’attenta ricostruzione storica si affianca un plot sempre avvincente e un linguaggio al tempo stesso innovativo e tradizionale.
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Sezione F SAGGISTICA
Alessandra Mattei, Camilla Pulcinelli
CAMILLA PULCINELLI
"Giuseppe Bonaviri"
Per aver riscoperto e studiato con attenzione una delle figure più interessanti e ahimé dimenticate del Novecento Italiano.
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Sezione G
Sara Di Gianvito, Alessandra Mattei
Vittoria ex aequo
"Gëzim Hajdari. L'esilio e la fondazione di una nuova Partia nella Letteratura" (Alessandra Mattei)
"La poesia di Gëzim Hajdari tra lirica, epica e tragedia" (Sara Di Gianvito)
Per aver messo in luce l’opera di uno dei poeti maggiori contemporanei nonché nostro autore di riferimento.
 
 

sabato 11 maggio 2013

FINALISTI PREMIO ENSEMBLE 2.0
 
Scusandoci per il ritardo vi segnaliamo i finalisti della I Edizione del Premio Ensemble 2.0.

A Torino durante il Salone del Libro (domenica 19 ore 15.30), qualora ricevessimo la partecipazione degli autori, ...si svolgerà presso il nostro stand un aperitivo di premiazione. Altrimenti la serata si svolgerà a Roma dopo il 20 maggio.

Sezione A Patrizia Andreasi, Sara Di Gianberardino, Mauro Serra, Alessio Rizzitiello

Sezione B nessun finalista

Sezione C Virginia Guidi, Maria Pina Santoro, Valter Urbini

Sezione D Patrizia Andreasi, Catia Simone, Michele Canalini

Sezione E Roberto Aprile, Marco Onofrio, Francesco Grasso, Paolo Antonio Magrì

Sezione F Alessandra Mattei, Camilla Pulcinelli,

Sezione G Sara Di Gianvito, Alessandra Mattei

Sezione H non raggiunto il numero minimo di partecipanti
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giovedì 28 marzo 2013

"I VINCITORI" PREMIO NAZIONALE DI POESIA E NARRATIVA - DINO TEBALDI



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AVVIVSO URGENTE:PREMIO NAZIONALE DI POESIA E NARRATIVA - DINO TEBALDI

Associazione ASD Accademica delle Culture
C.F. 93082720389 – P.IVA 01878790383
Via del Lavoro 64 - 44039 Tresigallo Tel.: 345 8171350 - 340 5054327
ass.accademicadelleculture@gmail.com

http://associazioneasdaccademicadelleculture.freshcreator.com/ita/blog/656820

CLASSIFICA GENERALE DEI PARTECIPANTI AL PREMIO NAZIONALE DI NARRATIVA E POESIA "DINO TEBALDI"

  1. TUTTI I PREMIATI PER OGNI CATEGORIA IN ORDINE DI MERITO
  2. DIPLOMI DI PARTECIPAZIONE PER REGIONE
  3. SEGNALAZIONI FUORI CONCORSO


SEZIONE NARRATIVA:

PRIMO CLASSIFICATO MICHELE CANALINI DA PESARO CON IL RACCONTO "TANCREDI"

SECONDO CLASSIFICATO ALESSANDRO SALERI DA CALCINATO (BS) CON L'OPERA "ELISABETTY"

TERZO CLASSIFICATO CARLOTTA MANTOVANI DA FERRARA CON L'OPERA "LA QUERCIA E L'ANATRA SELVATICA"

MENZIONE D'ONORE A: LIDIA PERITORE DA PALERMO CON L'OPERA "BREVE STORIA DI UN INNAMORATO PAZZO"

MENZIONE DI MERITO A: CARLA SAUTTO MALFATTO DA FERRARA, CON L'OPERA "IL TEMPO DELLE PICCOLE COSE"

MENZIONE DI MERITO A: ANNA SILVIA RANDI DA FERRARA CON L'OPERA "IL BIBLIOGIARDINO"

MENZIONE DI MERITO A: LARA FABBRI DA FERRARA CON L'OPERA "GIROTONDO TRA I FIORI"

MENZIONE DI MERITO A: GIULIANA MELONCELLI DA COPPARO (FE) CON L'OPERA "FONDERSI"

SEGNALAZIONE FUORI CONCORSO:
NICOLA D'AMBROSIO DA GRAVINA IN P. (BA) CON L'OPERA "L'UMANITA' E' ALL'ENNESIMO GIRO DI BOA -
ANGELA GOVONI DA FERRARA CON L'OPERA "IERI, OGGI, DOMANI...PER SEMPRE"

DIPLOMI DI PARTECIPAZIONE SEZIONE NARRATIVA:


EMILIA ROMAGNA: REMO SINUOLI, MADDALENA PRIMERA, FIORENZA GALLERANI, GUGLIELMO BATTISTINI, ELEONORA MODDU, FRANCESCA PIRANI, ELISABETTA SALERNO, ROSSELLA GIULIANELLI, ANNALISA PETETTA, FRANCA TOMASI, LOREDANA TUMAINI, SERENA PRETI, PAOLO LORENZETTI, BRUNO GASPARINI, ALESSANDRO PASTORI, PIETRO FARINA, MARCELLA UGOLINI, UMBERTO GIANNELLA, LUCA PAOLO SAVORELLI.

VENETO: LIDIA SESTRIERI, PINUCCIA ALDOVINI, ANGELO MORIN, LEONARDO STELLA, SIMONA PASQUALIN, ERCOLE MANIERO, WAINER PRIMONI, LETIZIA BOATIN, JONATAN POLLASTRI.

TOSCANA : FILIPPO BERTI, RITA LUCCHESI, MARIA PAOLA BETTI, GIULIA GORI, RENATO LOMBARDI, ALESSANDRA CAPPELLINI.

LOMBARDIA: RINO BIONDI, GAUDIO FUMAGALLI, ORIETTA BARBIERI, TERESA MASTROLANA, URSULA KHOVICH, EMMA PISARELLI.

PIEMONTE: KATIA DALPASSO, GRETA AMBROSIOLI, DEANNA FERRO, GIANCARLO RINALDI, DESIRE' RINALDI, LUDOVICO BOSCOLO.

MARCHE: TINA PIGNASCIUTTA, ORIANNA MAESTRI, FRANCO SURINI.

LAZIO: ALESSIO NARDIN, PETRONIO ZANNA, AMBRA TOMEI, OLGA PROIETTI, PRIMO LEONI.

PUGLIA: SERENO QUARTA, ANGELINO DEL GRECO, ANNARITA PELUSO.

SICILIA: NATALIA GIORDANO, OMAR TROVATO.

CAMPANIA: PINA MARIA VARRIALE, FABRIZIO CASTALDO, VIVIANA LIONELLO, DANTE ABATE.


domenica 10 marzo 2013

Premio letterario "Nemo"
per inediti

III Edizione - 2012


Elenco dei finalisti del "Premio Letterario Nemo" per inediti Terza Edizione 2012


La giuria del Premio Letterario Nemo 2012 ha così deliberato:


Tutte le sezioni

(In ordine alfabetico):


Alberto Arecchi - M'zab: un sogno di vita e di architettura (saggio)

Chiara Arnone - Come papaveri di notte (racconti)

Sergio Bartoli - Pietro II (romanzo)

Giovanna Bertino - Martino e la stanza sotterranea (romanzo)

Michele Canalini  -  Ciro in Babilonia (racconto)

Erica Cassani - Cuore di mamma (romanzo)

Nicoletta Fasano - Sei racconti per trentasei lettori (racconti)

Paola Giusti - Io,vivace invalida senza frontiere (autobiografia)

Giuseppe Grangetto - In principio erat n...omen (saggio)

Francesco Grasso - Come un brivido nel mare (romanzo)

Franco Monaca - I segreti del barone (romanzo)

Francesca Parisi - Epitalamio zoomorfo (poesie)

Francesca Paolillo - L'esistenza di Elsa (romanzo)

Valerio Pappi - La vendetta del lago Pacifico (romanzo)

Paola Saba - Un sistema davvero perfetto (racconto)



Un grazie a tutti i partecipanti. Il vincitore del Premio Letterario Nemo sarà annunciato entro il 31 marzo 2013, salvo cause di forza maggiore.


Il presente elenco è pubblicato anche sulla pagina Facebook di Nemo Editrice (click sul link)

http://www.nemoeditrice.it/premio/albo%20d'oro%202012.html

venerdì 1 febbraio 2013

RACCONTI D'OPERA: Tancredi

Nella terra assolata della Sicilia, intorno all’anno Mille, una lunga lotta era in corso da tempo tra i pupi bianchi e i pupi neri per il controllo di Siracusa. E lungo le coste si aggiravano le navi di Solamir, la terribile marionetta saracena che da tempo stava aspettando il momento opportuno per assalire l’antica colonia greca e conquistarla con la forza delle armi.
E ci hanno raccontato che in quella terra c’era anche un pupo di color grigio, di nome Tancredi, che venne però cacciato dalla città perché accusato di tradimento. Ma il motivo vero era il colore del suo metallo, che non apparteneva né ai bianchi né ai neri. E quando Argirio, capo dei bianchi, lo aveva indicato come nemico della patria, a lui si era subito associato nelle accuse Orbazzano, capo della fazione avversaria; e da quel momento in poi era stata la pace tra bianchi e neri, ed entrambi avevano costretto alla fuga il giovane cavaliere e poi si erano alleati per difendersi dagli assalti di Solamir, le cui navi erano sempre visibili lungo il caldo orizzonte marino.

Ma Tancredi era un pupo tenace, e non si curava del giudizio altrui. E non si curava degli altri perché Tancredi si era innamorato. E s’era innamorato di una bellissima pupa bianca, con il sorriso radioso della terra sicula in cui era nata: Amenaide. Ma Amenaide, benché ricambiasse il sentimento puro e disinteressato di Tancredi, era stata destinata in sposa proprio a Orbazzano, perché così aveva deciso il padre, Argirio, per sancire l’alleanza con i neri. E di giorno Amenaide sorrideva al genitore, con le sue labbra dolci come le arance di quella terra, ma di notte piangeva, piangeva alla finestra, e piangeva la sua pena d’amore.

Il sole s’era alzato ancora per illuminare il palcoscenico delle marionette; eppure il sole non sapeva che, nel cuore delle tenebre, due coraggiosi pupi con una piccola scialuppa avevano aggirato le pericolose navi saracene ed erano sbarcati sulla costa, nascondendosi poi al riparo delle palme. Ora, nel delizioso parco del palazzo di Argirio, Amenaide passeggiava in mezzo a quel verde, solitaria e assorta nei suoi pensieri; Tancredi uscì allo scoperto e il metallo della sua corazza non ci era mai sembrato così bello e lucente, per quanto grigio nella sua cromatura; e, al vederlo, Amenaide sentì sobbalzare il cuore. Ma dovette ben presto soffocare dentro di sé questo sentimento perché la graziosa pupa allontanò da sé il giovane innamorato: vattene, gli disse, perché lei non lo amava più e ora amava soltanto Orbazzano, la nera e potente marionetta siracusana.

Tancredi, disperato, fuggì, lasciando lì anche il fidato Roggiero, che lo aveva accompagnato sino a quel momento lungo tutte le sue peregrinazioni e non lo aveva mai abbandonato, anche dopo la condanna del gran senato dei pupi. E non immaginate neanche la faccia di Roggiero, stupito e affranto, mentre cirri di nubi stavano ricoprendo il volto del sole in cielo.

Allora Tancredi raggiunse subito il palazzo di Argirio e si presentò a lui, senza rivelargli la sua identità. Voglio combattere per Siracusa, fu la sola cosa che disse. Ma, prima di presentarsi al cospetto del gran capo, si era pitturato la corazza di bianco e aveva nascosto il lungo mantello, con le insegne normanne della sua antica casata siciliana. Argirio aveva assentito con piacere e gli aveva dato anche una spada, sicuro che quel baldo giovane avrebbe dato il proprio sangue pur di difendere la città che una volta era stata difesa dal grande matematico Archimede.

E venne il giorno del matrimonio: Amenaide era bellissima e lo splendore dei suoi snodi e dei suoi filamenti abbagliava tutti gli ospiti, mentre Orbazzano le era accanto, superbo nei movimenti della sua meccanica scura. Ma Amenaide vide tra i soldati bianchi del padre il giovane Tancredi e scoppiò a piangere. Non posso, disse al padre attonito che le si era avvicinato per consolarla, non posso sposarlo, non lo amo; e Orbazzano l’aveva guardata, con ciglio indispettito. E poi aveva gridato al tradimento, ah, donna infedele e fedifraga!, hai tradito Siracusa, le aveva urlato contro Orbazzano sempre più furioso, costei ha una relazione con il nostro terribile nemico Solamir e con lui sta complottando per conquistare la nostra città! E aveva chiesto la condanna a morte della sventurata marionetta. E, nonostante lo sgomento di Argirio impossibilitato a opporsi, Orbazzano l’aveva ottenuta.

Nella gran piazza di Siracusa c’era tutta la città, dai più importanti maggiorenti sino agli umili artigiani, tutti in attesa dell’esecuzione della gran traditrice; una volta celeste plumbea oscurava il patibolo mentre gli agrumeti erano velati da una macabra ombra. La folla dei pupi, bianchi e neri, era immobile, congelata in un silenzio senza tempo. Orbazzano dall’alto del palco aveva sollevato il braccio per suggellare il suo potere; a fianco a lui c’era Argirio, impotente e inerme, ormai ridotto a una marionetta senz’anima. Alla forca i diversi, alla forca i traditori!, aveva gridato il condottiero dei neri e la folla aveva alla fine risposto al suo invito con un lungo e lugubre urlo di approvazione. Ma dal nulla emerse la figura di un paladino bianco, in piedi sopra le teste degli altri pupi. Impavido era, e gridava di no, perché lui non era d’accordo, perché nessuno aveva ascoltato le ragioni di Amenaide. Come osi?, aveva replicato con sdegno Orbazzano, con gli occhi iniettati di sangue e di violenza. Il paladino bianco era salito d’irruenza sul palco e aveva sguainato la spada. Era incominciato un lungo duello e noi, che lo abbiamo visto, non siamo in grado di raccontarvi con quanta foga i due si combatterono, con quanto slancio si lanciarono l’uno sopra l’altro, quante scintille esplosero dall’urto tremendo delle loro spade. Restammo tutti ipnotizzati di fronte a questa lotta primordiale tra i due pupi: ma alla fine solo uno restò in piedi, e questi era Tancredi.

E la coraggiosa marionetta di stirpe normanna si tolse la corazza bianca, e ne mostrò una sotto di color nero; e poi tolse quella nera per mostrare quella grigia, la sua. E solo allora sfoderò anche il suo lungo e pregiato metallo di tessuto fenicio, con l’incisione del suo stemma familiare. E anche ora noi non saremmo in grado di raccontarvi quello che successe dopo, tanto il nostro animo era immerso in quello che si mostrava ai nostri occhi. L’unica cosa che possiamo fare è riportare la parole che Tancredi pronunciò subito dopo: “Siracusani, io sono Tancredi, il pupo grigio che avete cacciato perché considerato diverso da voi bianchi e neri. Ma sono anche un pupo bianco, come vi ho mostrato poco fa, nel duello con il crudele Orbazzano; ma sono anche un pupo nero, perché mi sento siracusano quanto voi; ma sono anche normanno, perché questo è il mio stemma e perché così sento nel mio sangue. E sono un pupo come voi, una marionetta di legno in questo teatro”. E si tolse anche l’ultima corazza, per mostrare il cuore venato di nodi.

(Versione liberamente ispirata al soggetto del libretto dell’omonima opera di G. Rossini)

venerdì 18 gennaio 2013

RACCONTI D'OPERA:
"Il signor Bruschino, una palliata rossiniana"



Florville era appena giunto all’ingresso della villa “Aurea”, situata poco distante la città. Aveva camminato spensieratamente, sotto uno splendido sole primaverile che rinfrancava il cuore e la mente con i suoi raggi già caldi. Ma all’arrivo ben altre sorprese dovevano aspettarlo, rispetto a quanto il giovane ottimato aveva progettato per sé e per il suo futuro.

“Cerco donna Sofia!” – aveva esordito, con aria tronfia e sicura, alla fanciulla che gli aveva aperto il massiccio portone.

“Lei c’è e sta già aspettando qualcuno.” – fu la risposta laconica della giovane serva.

“Eccolo!” – si era mostrato con il petto in fuori Florville, pavoneggiandosi come un gallo fiero, all’ingresso di un ridente pollaio. Indossava una tunica di stoffa rossa, appena acquistata al foro da un vecchio mercante originario della Persia. Era il suo modo di presentarsi “pulcher” e irresistibile agli occhi della giovane Sofia, figlia di Gaudenzio e ormai sua pupilla da diverso tempo.

“Ma non aspetta te, stolto!”

“Come sarebbe a dire…?” – replicò sorpreso Florville, in parte spiazzato per il linguaggio confidenziale con cui la serva si stava rivolgendo a lui.

“Donna Sofia aspetta il signor Bruschino, il suo futuro sposo.”

“Il signor… chi? Il suo futuro… cosa??”

Sorpresa e sbigottimento si erano palesati sul volto di Florville, inattesi quanto una tempesta di neve sulle domus di Roma. Ma la sua reazione fu anticipata dal gesto perentorio dell’ancilla che chiuse bruscamente il portone e rientrò in casa.

Florville, tuttavia, non si perse facilmente d’animo. Aggirò i muri esterni dell’abitazione e giunse nel retro, dove c’era il locale della cucina. “Per aspera ad astra”, si ripeteva continuamente. Qui, appostatosi come un corvo curioso su un ramo, si mise a fissare con cura le finestre del locale in attesa che passasse qualcuno; poi incominciò a fischiare come un volatile vero e proprio, petulante e insistente allo stesso modo. Sulla soglia apparve un uomo con una veste unta di oli e sangue sul petto, e un enorme coltello, affilato come un gladio da battaglia.

“Che diavolo succede, qui?” – fu l’urlo dell’uomo, affacciatosi sull’uscio.

Florville si fece avanti, incurante dell’aspetto minaccioso del cuoco. Alzò la mano per attirare subito l’attenzione.

“Cerco notizie. Ho con me argomenti convincenti.” – ribadì Florville, facendo risuonare nella mano un consistente pugno di monete che aveva appena tirato fuori.

“Spero che siano davvero convincenti.” – rispose prontamente il cuoco, facendo scorrere intenzionalmente la lunga lama lungo il bavero del suo grembiule.

Florville rimase per un momento interdetto ma poi si fece coraggio e avanzò in direzione del corpulento servo della cucina.

“Vorrei avere informazioni su un certo uomo, di nome Bruschino.”

“Capiti a fagiolo, ragazzo. La persona che cerchi è racchiusa nella mia cantina, così impara a non onorare i propri debiti…”

Nel volto di Florville apparve subito un raggiante sorriso.

“E a quanto ammonterebbero i debiti di questo… questo furfante?”

“Il doppio di quelli che hai in mano” – e il cuoco fece un altro giro di lama sulla sua tunica.

“E io te ne do il triplo se tu lo lasci laggiù ancora per un po’!”

“Bene” – disse tuonante il cuoco, senz’alcuna espressione – “Ma voglio subito la pecunia. Non ho tempo da perdere, devo ancora mettere sul fuoco la carne per cena…”.

Florville preso un altro gruzzolo dalla sua bisaccia e lo collocò sulla mano aperta del cuoco, osservando con un certa apprensione i gesti dell’altra mano del servo che impugnava il coltellaccio.

“Bene” – replicò ancora il cuoco, un modello mancato di concisione dialettica nel foro.

“E ci deve stare, il nostro giovane Bruschino” – esitando per un momento, Florville con un gesto del capo indicò la cantina sottostante alla cucina – “fino a quando non verrò a liberarlo io stesso. E nessun altro.”

“Comandi, domine!” – concluse il cuoco, rientrando in casa. Ma nel suo volto era apparso un ghigno di soddisfazione ben più che culinaria.

Poco dopo Florville si presentò nuovamente al portone di villa “Aurea”.

“Ancora tu?” – esordì quasi stizzita la giovane serva di prima.

“Consegna questa al tuo padrone” – ribadì senza esitazione Florville, mentre consegnava una epistula alla serva.

L’ancilla prima guardò la missiva, poi con la stessa aria sorpresa rivolse lo sguardo all’uomo che era per la seconda volta di fronte a lei, sull’ingresso della regale domus, sempre impettito come le prima volta. Florville mostrava in volto una smorfia boriosa, sempre da gallinaccio sulla soglia dell’aia.

 

L’epistula era a firma di Bruschino senior e descriveva al pater familias di casa, Gaudenzio, le generalità fisiche di Bruschino iunior, alias Florville, e pregava il nobile romano di prendersi in casa il giovane e di accettare la sua richiesta di matrimonio con la bella Sofia, figlia di Gaudenzio. In più il testo riportava le scuse di Bruschino senior per non essere potuto venire di persona ma un urgente affare lo aveva allontanato da Roma, in direzione della Lucania per una compravendita di bestiame; ma presto sarebbe rientrato nell’Urbe e si sarebbe anche lui presentato a casa di Gaudenzio, per definire gli ultimi dettagli del matrimonio. Infine, l’epistula chiedeva “gratia” e “pietas” per il giovane Bruschino iunior, bravo ragazzo ma talvolta esuberante, e non sempre facile da sopportare nelle sue stravaganze. Ma Bruschino maior era certo che il suo filius si sarebbe comportato sempre all’altezza di un vir romano, e anche i suoi difetti si sarebbero gradualmente sciolti con il matrimonio, come le nevi ad aprile sui colli piceni. Così terminava lo scriptum.

Naturalmente l’epistula era un falso clamoroso, un artefatto frutto dell’inventiva e della sagacia di Florville, che ora faceva il suo ingresso nella domus di Gaudenzio con tutti gli onori del caso.

“Vieni, adulescens, sei ospite graditissimo nella mia dimora!” – erano le parole di Gaudenzio che faceva strada all’intraprendente ottimato lungo i colonnati del cortile interno. I due giunsero nella sala principale, di fronte al focolare domestico e al cospetto dei Lari della gens di Gaudenzio. Ogni tanto compariva qualche servo per portare bevande e vassoi di frutta fresca e profumata.

“Sono proprio contento che un giovane come te abbia chiesto la mano di mia figlia, un giovane patrizio di una così nobile famiglia romana.”

Florville ora gongolava come non mai, mentre con la mano toccava la bisaccia all’interno della quale c’era la brutta copia della pergamena con la quale aveva scritto l’epistula.

“C’è chi gode di una aulularia, mio ragazzo. E invece io godo perché ho trovato per la mia dolce figliola un ottimo partito, ben più prezioso dello stesso oro!”

Florville rideva, e beveva vino rosso delle pianure etrusche, e mangiava chicchi d’uva proveniente dalle fertili terre sicule. Ma, in realtà, Florville pensava ad altro, alla sua sistemazione, al suo futuro, alla sua bella Sofia. Aveva anche indossato un lungo pilleum, il cappello a cono, per darsi ancora più ritegno. Ma Gaudenzio inizialmente lo aveva squadrato con diffidenza, chissà perché un giovane romano doveva indossare sua sponte un copricapo tipico della servitù; poi, però, le parole di Bruschino senior lo avevano decisamente rallegrato e ora attribuiva quella strana scelta del giovine, con molta probabilità, a una delle sue già descritte stravaganze.

D’un tratto riappare la serva del portone, con un equivoco sorrisetto sulle labbra, ad annunciare l’ingresso in scena di Bruschino senior.

“Caro Gaudenzio, mi sono liberato con anticipo dei miei affari, ed eccomi subito da te!”

Gaudenzio si alzò con prontezza dal triclinio e corse ad abbracciare l’ospite.

“Da quanto tempo, mio caro Bruschino! E che piacere! E anche che combinazione… vedi proprio là tuo figlio?”

Bruschino senior volse lo sguardo in direzione di Florville, il quale aveva assunto l’espressione bovina di un animale prima del macello.

“E quello chi sarebbe??”

“Ma tuo figlio Bruschino, oh mio caro amicus Bruschino!”

“Ma che Bruschino e Bruschino, per Ercole! Quello non è mio figlio!!”

Gaudenzio rimase per un attimo in silenzio, poi disse fra sé e sé: “Questo birbante qui ha cambiato idea e ora s’è inventato questa fabula per non far più sposare suo figlio con Sofia. Il taccagno…! Ma gli gioco ora io un brutto scherzo…”

“Che dici, Bruschino? Non riconosci tuo figlio?”

“Quello non è assolutamente mio figlio!” – replicò stizzito Bruschino senior.

“Ma come? È uguale a te nel viso! Stessi lineamenti, come due menaecmi!”

“Quello uguale a me…? Con quella faccia da agnus rincretinito??”

“Che dici, Bruschino? Trattare così tuo figlio!!”

“Non è mio figlio, ripeto!” – s’irrigidì Bruschino, sempre più offeso. La rabbia oramai stava divampando in lui come la furia di una legione all’assalto.

E mentre i due discutevano così animatamente, Florville se ne stava in un angolino della stanza, rintanato come un pulcino spaventato e la faccia da pesce lesso.

E tutto questo caos richiamò l’attenzione della bella Sofia, che si affacciò sulla scena.

“Per tutti i numi, che cosa succede qua dentro? Che razza di lupercale è questo?”

“Sofia, dolce figlia, vieni qua. Bruschino senior  è impazzito e non vuole riconoscere più il figlio.”

La deliziosa puella si avvicinò al padre, con gli occhi fissi su Bruschino senior. Il padre le si accostò all’orecchio:

“Cave, filiam! Questo qui ci vuole turlupinare…”

“Ma caro Bruschino, che dice mai lei? Un uomo della sua gens, così ammirato e venerato in tutta Roma, che dice di non riconoscere più suo figlio, il sangue del suo sangue!”

“Quello non è mio figlio, per Ercole. E ancora per Ercole!”

E nel frattempo giunse anche il resto della servitù, richiamata dagli strepiti sempre più forti dei due uomini a cui si era aggiunta anche la voce soave ma stridula della giovane Sofia, non meno arrembante del padre.

Florville si accorse anche che la serva, sempre quella disgraziata che gli si era presentata all’inizio, ora lo fissava con dichiarato compiacimento.

“Maledetta femina!”, pensò tra sé – “Ecco chi mi ha lanciato addosso il fascinum[1]…”

Ma poi Florville notò tra la familia della servitù il volto, come sempre rigorosamente inespressivo, del cuoco Filiberto. Florville, allora, lo fissò a lungo per incrociarne gli occhi e, quando questo avvenne, alzò con una mano la sua bisaccia per indicargli da lontano il ricco contenuto di monete.

“Intervieni ora, se ne vuoi altro, brutto barbaro da cucina che non sei altro” – fu il suo pensiero.

Filiberto non era certo uomo di lettere ma non era neanche sciocco come l’asino della favola di Esopo. Per questo, non appena si presentò l’occasione, si fece avanti tra la folla dei servi e prese la parola.

“Perdono, domine Gaudenzio, ma io conosco quest’uomo.”

Gaudenzio, Buschino senior e la bella Sofia si girarono stupefatti verso di lui, mentre tutte le altre parole si erano troncate sulla loro bocca. Fu un improvviso silenzio, come se Giove stesso fosse sceso in persona tra gli homines a dirimere la questione. Sembrava essersi piombato all’improvviso un gelo tra tutte quelle persone, allo stesso modo in cui ce lo presenta Omero nel suo presunto “Inno a Demetra”.

“Quest’uomo qui è il signor Bruschino.” – disse Filiberto, indicando lo spaurito Florville.

 

Poco dopo, la calma era rientrata nella grande domus. Gaudenzio aveva offerto le sue camere per un riposo a tutti gli ospiti, un modo questo per rasserenare gli animi e avere un po’ più di tempo per ragionare sugli eventi: ma ormai Bruschino senior non poteva più tornare indietro e suo filius si sarebbe sposato con la sua Sofia, e per lui da questo matrimonio sarebbero derivati soltanto vantaggi. E tanta pecunia, ovviamente.

Ma Gaudenzio non poteva sapere quello che sarebbe successo di lì a poco. E se lo avesse saputo, ora non si sarebbe sdraiato sul letto della sua camera a riposare e a progettare speranzosamente il suo futuro. Perché, nello stesso momento in cui appoggiava serenamente il proprio caput sul morbido guanciale, in un altro lato della sua spaziosa domus Bruschino senior stava origliando dietro una porta. E stava ascoltando il dialogo, non proprio a bassa voce, tra Filiberto e il suo presunto filius, ovvero Florville. E le parole di Filiberto non erano certo parole di fraternità. Filiberto, in breve, chiedeva ancora più soldi a Florville (trovata una pentola d’oro, si vuole ricavarne quanto più denaro possibile! – sempre per richiamarci all’aulularia), non accontentandosi di quanto sinora promesso dal giovane rampante. E Bruschino senior aveva anche intuito che suo filius, quello vero, era rinchiuso in qualche lurida e sporca cantina, a pagare il fio delle sue promesse non rispettate e dei suoi debiti non sanati. E ben gli stava, pensava il padre, che finalmente godeva di questa punizione al filius, sempre quello vero, che si era comportato come suo solito in un modo che avrebbe fatto ribrezzo agli dei. E quante volte avrebbe voluto punirlo in modo esemplare, e ora l’occasione gli capitava tra le mani, senza che lui, Bruschino senior, avesse fatto niente. Sursum corda! Le cose si stavano mettendo bene per lui. E ora che ci pensava, non avrebbe fatto niente neanche per smascherare l’altro inganno. Anzi, lui stesso avrebbe continuato in quella recita. Gaudenzio voleva suo figlio, quello falso, alias Florville, come marito per la sua bella Sofia, dunque? E lui glielo avrebbe dato volentieri. Peccato che Gaudenzio non sapesse che sua filia avrebbe avuto come sposo quel Florville, figlio di un senatore che era il più grande rivale nella curia romana proprio dello stesso Gaudenzio! Redde rationem!, pensava quindi soddisfatto Bruschino senior, mentre ascoltava dietro la porta le minacce cariche di improperi del villoso Filiberto e la intimorite raccomandazioni di Florville.

E venne così il giorno del matrimonio. Tutto era stato organizzato in pompa magna da Gaudenzio, felice come un mortale al convito dell’Olimpo. E Sofia aveva un sorriso raggiante, perché pregustava le gioie della sua futura vita da matrona. E Florville sorrideva, su quella faccia da minchione con cui si era presentato la prima volta alla porta di Gaudenzio. E Bruschino senior rideva dentro di sé, godendo dell’inganno a cui era sfuggito e del tiro mancino che, a sua volta, aveva tirato a quell’imbroglione di Gaudenzio. E Filiberto osservava dalle stanze della cucina, con un sorriso splendente come la lama del suo coltellaccio lucidato e una mano sul gruzzolo nella tasca della sua veste. E tutti ridevano, mentre decine e decine di ancille erano indaffarate lungo la tavola del sontuoso banchetto.

Quando d’un tratto, alle finestre della domus in mezzo alla folla accorsa a vedere le nozze della filia del senatore Gaudenzio, si intrufolò un giovine dall’aspetto scarmigliato, il viso disorientato.

“Che ti succede, puer? Hai la faccia di uno che è appena evaso di prigione?”, gli disse un agricola, vicino a lui.

“Non sei lontano dalla verità, sono appena sfuggito alle grinfie di un cuoco manigoldo… ma che succede qua dentro, villicus? Perché tutta questa gente qui ad osservare?”

“Ma come, non lo sai? Oggi si sposano la filia del senatore Gaudenzio e quel baldo giovine là, il cui nome è Bruschino”.

“Bruschino, per Ercole! Hai detto… Bruschino?!?”

“Già, il signor Bruschino. Amantes amentes, mio caro puer!”


 
[1] Malocchio