mercoledì 16 novembre 2016

Idranet

Il mio articolo su Rocco Schiavone e la fiction rai.

http://www.idranet.it/2016/11/14/il-vicequestore-rocco-schiavone-dalle-pagine-di-manzini-alla-fiction-della-rai/

sabato 12 novembre 2016


IL RITORNO DELLA LUCE
Dopo circa sei mesi, Facebook mi ha consentito l'accesso al mio profilo, Cortesieperilettori. Ma fino a qualche giorno fa il mio spazio era stato oscurato. Cosa ho dovuto fare? Inviare su una maschera di richiesta prestabilita una serie di miei documenti (che io almeno ho a mia volta "oscurato" nelle parti più strettamente sensibili) per riavere in cambio l'accesso. Tutto questo, per ragioni di sicurezza e di trasparenza.
"Solo le pagine possono avere nomi non direttamente collegati all'identità personale", così stava scritto più o meno sulla maschera che mi comunicava il divieto di accesso alle mie Cortesie.
Provo allora a chiedere le modalità di conversione del profilo in pagina ma non ricevo nessuna risposta. Il moloch facebook non voleva sentire ragioni. Nessuna forma di dialogo con il sottoscritto e solo l'accettazione dei documenti. Conditio sine qua non assoluta. E muta.
Tra l'altro un ulteriore requisito era la presenza (inizialmente non obbligatoria) di una mia foto. Va bene, accontentiamoli, inviamo anche questa. Tra l'altro l'immagine che ho pubblicato qui è la stessa del mio altro profilo personale (quello che IO VOGLIO legato alla mia identità anagrafica!), per cui a breve questa qui lascerà il posto a un'altra immagine senza la mia bella presenza. Mi oscureranno di nuovo?
Per quanto riguarda le ragioni della sicurezza, non ho nulla da obiettare, ci mancherebbe. Magari mi sarebbe piaciuta anche da parte del moloch un po' più di trasparenza (d'altronde le mie Cortesie ospitano miei commenti e interventi di natura letteraria e filosofica o qualche recensione, tutto "politically correct", niente di più...). Avrei potuto anche lasciare perdere, onestamente. Ma mi scocciava perdere tutto quello che avevo scritto in questi anni, i miei interventi, le mie analisi, visto che quello che scrivo è sempre abbastanza curato. Poi, a pensarci bene, è stata anche una questione di principio.
Di principio, sì. Perché considero comunque enorme e abnorme il potere di controllo (e di gestione, e di utilizzo, ecc.) che hanno queste piattaforme sui dati pubblicati da ogni utente. Per cui un intervento di chiusura e di divieto (da deus ex machina) di un profilo di un utente da parte di facebook dev'essere sì consentito ma almeno giustificato, senza dare adito a interpretazioni arbitrarie e consentendo possibilmente il recupero dei propri dati. Tanto più, poi, se fatto a posteriori. Ma non credo di essere stato l'unico ad essermi imbattuto in una problematica simile.
Alla fine, la foto che ho pubblicato con il sottoscritto vede anche la presenza della mia gattina, Vali. Un cammeo prestigioso.
L'intelligenza dei gatti è testimoniata dal loro comportamento. Aristocratico e indifferente. Attento e mai ingombrante.
Forse dovrei ispirarmi a lei per la mia "nuova" linea delle Cortesie.
Comunque al momento sono tornato visibile. La luce è tornata. (MC)

https://www.facebook.com/cortesieperilettori.periodicoonline

domenica 7 febbraio 2016

Pubblico una lettera-recensione di Michele Baraldi al mio saggio su Leopardi.
Approfitto dell'occasione per ringraziarlo nuovamente.
(https://www.facebook.com/cortesieperilettori.periodicoonline)
"Caro Michele,
Ho letto con grande interesse il suo libro Leopardi e l’angoscia
e le rivolgo nuovamente i miei più sinceri complimenti
per il suo lavoro, che rivela notevoli conoscenze poetiche, filosofiche,
letterarie, comparatistiche e perfino scientifiche. Si tratta di un'opera
- o, meglio, dell’inizio di un’opera - davvero importante: le auguro di approfondire
le sue riflessioni sull’angoscia, soprattutto nel romanticismo europeo; occorre
urgentemente superare, come lei fa, le barriere della letteratura nazionale
e pensarla sempre in un contesto più vasto e più profondo, sia diacronicamente,
sia nella contemporaneità delle opere e degli autori - ed elaborare una vera e propria
filosofia dell’angoscia poetica, un pensiero che potrebbe gettare una luce inedita
e rivelatrice sulla creazione e la conoscenza. E dall’attenta lettura del suo bel libro
su Leopardi - mi perdoni se questa non è una recensione, ma è una lettera, testimonianza
forse meno convenzionale, ma oggi non meno rara -, mi appare evidente che lei possa
esprimere a questo proposito importanti risultati interdisciplinari.
Leopardi accompagna costantemente la nostra meditazione sull’essere e sul nulla
e nutre del suo pensiero e del suo canto tutta la nostra lettura degli Antichi, greci
e latini, e dei moderni fino a Dante, Petrarca e alla Crestomazia italiana.
Scrisse bene Gianfranco Contini che in Leopardi Dante e Petrarca si trovano
per la prima volta davvero congiunti. Ma la cosa davvero stupefacente è che la meditazione
di Leopardi sull’angoscia, da lei così bene evocata e originalmente, direi quasi originariamente
pensata, si riannoda a tutta la grande poesia e filosofia europea degli ultimi due secoli,
a cominciare da Schopenhauer e Kierkegaard e fino a Nietzsche, Michelstaedter, Heidegger,
Sartre e oltre… E vedo bene che manca, nella società edonista, iperconsumista, esibizionista
e ultranarcisista in cui volenti o nolenti ci ritroviamo a sopravvivere, un vero
filosofo dell’angoscia, anzi manca un grande filosofo tout court.
Nella tradizione poetica europea, sono incontournables, in questo e altri sensi, tra mille altri,
Gérard de Nerval, Kleist e Novalis, J. W. Goethe, W. Wordsworth, P. B. Shelley, Charles Baudelaire
e Stéphane Mallarmé, che ha meditato a fondo – quasi senza esprimerlo in opere evidenti,
se non il celebre Coup des dès e Igitur – il rapporto fondamentale dell’esistenza umana,
e con essa della poesia che la esprime, con il néant.
Ricordo personalmente le ultime lezioni di Yves Bonnefoy al Collège de France, dove uno tra gli ultimi
eredi di questa tradizione parlava proprio del rapporto del poeta al néant come del gesto al tempo stesso
conclusivo e fondatore della sua poesia.
Insisto molto sulla questione europea, benché l’Oriente, fin dai tempi più antichi, abbia meditato tutto questo ben oltre
i limiti dell’umano pensiero: nei Veda, nelle Upanishad, nel Mahabharata, quindi in tutti i canoni buddhisti fino all'immenso
Rabindranath Tagore. A questo proposito, mi permetto di consigliarle quello che considero il più giusto
libro mai scritto sulla poesia: lo Dhvanyâloka di Anandavardhana, pubblicato qualche anno fa da Einaudi per le brave
cure di Vincenzina Mazzarino, un’allieva del magnifico Raniero Gnoli. E qui dico solo dell’India, mia terza (e più
segretamente prima) madre patria, ma altri orienti vi sono e altri orizzonti in cui il rapporto tra poesia e angoscia
è stato esplorato a fondo. Molto interessante nel suo libro è il riferimento al tardivo Qohèleth: Leopardi conosceva
infatti l’ebraico e poteva leggere nella lingua originale i Salmi e altri testi, su cui ha lasciato note illuminanti. E
siamo alle fonti della poesia filosofica che arriverà fino a lui e andrà oltre fino a Rilke, Char, Artaud e Paul Celan.
Gli Antichi non sapevano meno di noi la realtà del dolore, si vedano appunto l’Ecclesiaste, il Buddha, Zoroastro
e lo Zend Avesta, ma anche i Greci che noi chiamiamo Omero, e ancora Virgilio e Ovidio, Agostino…
Non vi è stato aumento, ma semmai diminuzione di consapevolezza della condizione essenzialmente tragica
e dolorosa dell’umano su questa terra, e questo malgrado l’obiettivo aggravarsi delle nostre condizioni dopo
Auschwitz e Hiroshima e pur nella prospettiva delle immani tragedie che ci attendono.
Il pessimismo cosmico di Leopardi era già perfettamente inscritto nell’esperienza buddhista (agli antipodi di ciò
che comunemente noi crediamo che sia) o greca e appunto tragica del mondo. Era già, questo pessimismo,
assolutamente e pienamente filosofico nelle Upanishad. Schopenhauer lo comprese perfettamente.
Distinguere l’Europa e gli Orienti che la illuminano significa allora poter arricchire
e illimpidire reciprocamente i termini del discorso e della ricerca,
evitando confusioni tanto frequenti in quest’epoca esposta alle più facili semplificazioni.
E’ bella l’idea di associare il concetto dell’angoscia (Kierkegaard ritorna, inesorabilmente) alla nave in burrasca
(ma forse ritorna anche il magistrale H. Melville di Moby Dick) e, dunque, al naufragio: con il naufragio
- un’esperienza e un’idea che io stesso, pardon, sto sviluppando in tutto il mio lavoro - arriviamo nuovamente
al cuore della poesia moderna. Tutto il Coup des dès di Mallarmé – un testo fondamentale, cui vorrei un giorno
dedicare un intero seminario – ruota intorno al naufragio e il naufragio inteso non come esito fatale, ma come
condizione originaria della creazione. L’uomo – e quell’uomo fragile, ipersensibile ed essenziale che è il poeta,
meglio il poeta-veggente ch’era nei Veda e si ritrova in Rimbaud – crea perché sprofonda, naufraga,
vede il suo mondo e in verità il mondo intero crollare intorno a sé, davanti a sé, dentro di sé.
L’esperienza dell’angoscia mi sembra, ed è forse questo il dato geniale della sua tesi, il fondamento di ogni
vera poesia: e non vi vedremo più, d’ora in poi, una limitazione dell’essere, o una semplice angoscia
del soggetto davanti ai suoi propri limiti, quanto un suo abissale e visionario approfondimento: l’esperienza
autentica dell’angoscia – attraverso il dolore, la conoscenza, dirà Eschilo – costituisce il decisivo e irrinunciabile
fondamento di una testimonianza non mentita della nostra condizione, dell’umano e dell’essere, una condizione
non sempre e necessariamente infelice, del resto, perché (io) penso che lei sia stato felice, almeno in alcuni istanti,
con la gentile signora cui dedica il suo libro, come io lo sono stato con la compagna della mia vita e Attilio
Bertolucci, caro amico e maestro, con la sua indimenticabile Ninetta… Mi chiedo, se mi permette di concludere
questa lettera con una nota quasi umoristica – e l’umorismo andrebbe integrato in una filosofia dell’angoscia
poetica, per ragioni che qui non possiamo troppo rapidamente esprimere, ma certo in Leopardi, e soprattutto
nelle Operette morali, l’umorismo si trova quasi ovunque – che cosa sarebbe accaduto del pessimismo
leopardiano se Fanny Targioni Tozzetti avesse ricambiato le maldestre avances del povero Giacomo… Sarebbe
forse diventato ancora più grande? Oppure Giacomo, scoprendo l’inaudita e scandalosa possibilità di essere,
almeno per un istante, felici, avrebbe dovuto inscrivere, nel suo Inferno, qualche scintilla di Paradiso?
Inoltre, l’enorme questione dell’angoscia non riguarda solamente gli umani: non credo affatto che gli animali
siano estranei all’angoscia; credo anzi che la maggior parte degli animali viva nell’angoscia – e, soprattutto,
quel miliardo di animali destinati ogni giorno alla morte e che vedono i loro compagni morire davanti a loro.
J. Derrida, di cui ho avuto l’onore di ascoltare i corsi all’Ehess per dodici anni, ha dedicato interessanti
considerazioni all’argomento e non ha esitato a comparer l’incomparable, vale a dire lo sterminio degli animali
allo sterminio degli esseri umani. A proposito di filosofia contemporanea, mi permetto di consigliare
le pagine illuminanti sul « ni-ente » scritte da Massimo Cacciari nel suo trattato Dell’inizio, in dialogo
più o meno dissimulato con l’Emanuele Severino di Destino della necessità e altri libri.
Ringraziandola, e molto vivamente, per l’invio del suo libro,
le auguro di proseguire con successo le sue fruttuose ricerche
e la prego di perdonare il ritardo con cui le invio queste parole.
Ho dovuto affrontare, insieme a importanti urgenze familiari,
la pubblicazione del mio Libro della memoria e dell’erranza,
la preparazione di un prossimo libro di poesia e un certo
numero di viaggi, tra i quali il viaggio in India (il mio sesto)
cui mi dispongo proprio ora, sulle tracce, appunto, del Buddha e di Tagore.
Cordialmente, suo
Michele Baraldi."