Lettera immaginaria di un diciottenne su scuola ed elezioni: di redazione VLL -- Difficile immedesimarsi in un neomaggiorenne. Ma su due punti è semplice: la scuola e le elezioni. Nella scuola nulla cambierà alla ripresa, come nulla è cambiato negli anni scorsi. E quanto alle elezioni, non c’è traccia di attenzione ai problemi giovanili. Come stupirsi se la speranza di quel neomaggiorenne è che non finiscano le vacanze?
Cortesieperilettori Periodico On Line
domenica 28 agosto 2022
Lettera immaginaria di un diciottenne su scuola ed elezioni
Lettera immaginaria di un diciottenne su scuola ed elezioni: di redazione VLL -- Difficile immedesimarsi in un neomaggiorenne. Ma su due punti è semplice: la scuola e le elezioni. Nella scuola nulla cambierà alla ripresa, come nulla è cambiato negli anni scorsi. E quanto alle elezioni, non c’è traccia di attenzione ai problemi giovanili. Come stupirsi se la speranza di quel neomaggiorenne è che non finiscano le vacanze?
lunedì 27 giugno 2022
mercoledì 15 giugno 2022
LO SCRUTINIO
Bocciare, o non bocciare, questo è il dilemma: se sia più nobile
nel registro segnare colpi di impreparato e dardi d'oltraggiosa fortuna, o
prender armi contro un mare d'asini e, opponendosi, por loro fine? Finire,
finire…
Tuttavia non è questo il dilemma, ahimè, di ciò che conosciamo
come “scrutinio”.
Altra è la realtà, oggi, dell’ultimo atto della scuola italiana e
di tutti i riti a esso legati. Ma andiamo con ordine. Lo scrutinio, al termine
delle lezioni dei nostri tempi, non è più il luogo delle grandi decisioni o
delle sofferte prese d’atto della bocciatura di qualche alunno che non ha mai
aperto il libro. Primo, perché oggi per non farsi bocciare ti è consentito
persino non aprire il libro tutto l’anno, magari in più discipline. Infatti,
per ripetere un anno, devi almeno avere anche un voto basso o insufficiente
nella valutazione del comportamento e, per arrivare a un cinque in condotta,
devi avere compiuto un atto di vandalismo nei confronti di cose o persone.
Insomma, se non hai dato fuoco all’istituto, non ti bocciano, mi
dispiace.
Secondo, perché pure in caso di diffuse e gravi insufficienze,
l’alunno difficilmente viene fermato: intervengono a salvarlo in questo caso
imponderabili “altre” ragioni di natura sociale o emotiva se non, nei casi più
disperati, di natura sentimentale, per non far soffrire il misero adolescente
immerso in una sedicente bohème esistenziale; o ragioni di natura
affettivo-familiare, perché sul malcapitato pargolo si sono scatenate,
nell’appena conclusosi anno scolastico, inaudite tragedie di portata alfieriana
(ci scusi di nuovo il Bardo), tali da avere inciso in maniera indelebile sulla
sua psiche o sul suo successivo sviluppo quale appartenente al genere umano. O,
tra i casi non ancora contemplati, una ragione di tipo esiziale, ovvero la
“discreta” presenza di un genitore-mamma, probabilmente anche lei insegnante,
che perseguita tutto l’anno con richieste il consiglio di classe, il docente di
religione e quello di lettere e, in un crescendo di senso di maniacale difesa
da una persecuzione paranoica nei confronti della propria stirpe, il
coordinatore di classe, considerato come il nemico numero uno. Senza
tralasciare, sempre da parte della “mamma-docente-soiocomesifa”, un continuo
propinare di suggerimenti e indicazioni sulla migliore modalità di gestione del
gruppo classe e dell’inserimento nello stesso del proprio figliuolo che
conosciamo già quale incredibilmente tormentato dal fato. Continuando poi, in
un crescendo inarrestabile e di incontenibile espansionismo, a tempestare di
messaggi sempre il malcapitato coordinatore, giorni festivi compresi e
inaspettati orari notturni inclusi; fino a concludere la sua azione di
intromissione nella scuola, sbraitando una serie di minacce a sfondo giudiziario
e non solo, che la portano a bussare all’ufficio scolastico provinciale, a
quello regionale, poi alla Cassazione e infine a qualsiasi ufficio, tribunale o
corte, foss’anche alla corte regale di Carlo Magno.
Eppure, questo non è il vizio principale dello scrutinio
scolastico oggi. C’è un’altra malattia di cui soffre il rito più conosciuto e
chiacchierato della scuola italiana. Questa malattia è l’indifferenza.
Quale indifferenza, però?
Quella, spesso involontaria e meccanica, dei suoi componenti,
ovvero gli insegnanti.
Perché, quando questi si riuniscono alla fine dell’anno scolastico
per decidere la sorte dei propri prediletti, pensano proprio a tutto tranne che
a questa cosa, cioè alla sorte conclusiva dei propri adorabili.
Ebbene, sì. Gli insegnanti pensano al calendario degli scrutini,
redatto già mesi prima dal dirigente dell’istituto con minacce improferibili e
categorici rifiuti di qualsiasi spostamento o dilazione di orario: un
calendario strettissimo, con cadenze tayloristiche e frotte di docenti che si
alternano nelle varie riunioni, sforando ogni volta con immancabile
tempestività i propri turni prefissati e accavallandosi dunque con gli orari
degli altri, in un meccanismo infernale che spesso porta alle tenebre, sia
naturali che intellettive. Queste frotte di docenti si presentano e si
assiepano in aule afose, con un’aria stanca e disfatta, con visi diafani e
orribili lembi di pelle cerea da maniche di abbigliamenti irrinunciabili per le
temperature canicolari della stagione ma inguardabili da qualsiasi occhio umano.
Gli insegnanti, poi, pensano alle innumerevoli incombenze
amministrative e alle mille voci da riempire di un tabellone elettronico,
proiettato vieppiù su schermi parietali che nessuno riesce mai realmente a
focalizzare con le proprie misere diottrie restanti, fingendo in modo meschino
di leggere e soprattutto di capire.
Gli insegnanti si tallonano tra uno scrutinio e l’altro,
rincorrendo firme di colleghi in fuga e guardando in cagnesco chiunque si
frapponga al disperato tentativo di arrestare il collega rientrante a casa,
nell’ingenua credenza di aver finito la propria riunione.
Gli insegnanti interloquiscono tra di loro in un dialogo tra
sordi, appellandosi a numeri sparati a casaccio per la stanchezza e la
spossatezza causate da un’afa insopportabile e blaterando senza soluzione di
continuità termini ed espressioni come “obiettivi trasversali”, “crediti
integrativi”, “debiti formativi”, “deroghe riconosciute”, “percorsi di
alternanza”, “certificazione di competenze”, “iniziative di sostegno” fino ad
arrivare a un ineluttabile e quasi biblico proferimento, da parte di qualche
incosciente ormai in procinto di collasso per soffocamento, di “sospensione del
giudizio”.
Ed è a questo punto che all’indifferenza subentra, in modo
implacabile, la rassegnazione.
Perché a questo punto delle operazioni si è giunti all'Armageddon,
nel momento in cui si ripresenta agli occhi ormai ottenebrati e spauriti degli
insegnanti la sagoma del dirigente o della dirigente che, accompagnata da una
sinistra voce apodittica, proprio in prossimità delle “operazioni di termine
dello scrutinio”, chiede agli astanti quali siano, nelle future settimane, i
volontari per la partecipazione alle attività della “scuola d’estate”, fresca
di nomina ministeriale e di benedizione collegiale.
Questo è il punto preciso in cui il rito dello scrutinio si
conclude, oppure s’interrompe o si tronca come una mutilazione, a seconda dei
punti di vista e delle diverse apocalissi che ne seguono.
Poi, come in tutti i riti escatologici, cala il silenzio.
Rotto solo, in lontananza e in tono sommesso, da alcune flebili
voci. Come quelle di prefiche angoscianti o di giaculatorie
inconsolabili.
Forse, mai avesse voluto un destino propizio, qualcuno può
raccontare di aver potuto ascoltare tali parole.
“Ma, alla fine, Moretti lo abbiamo bocciato?”
“Quale Moretti, scusa?”
“Quello di 3^ C… tu non sei un insegnante del consiglio di
classe?”
“Sì… mi pare di sì… Moretti è quello con quella orribile testa rasta?
“Sì, proprio lui”.
“Sai che non lo so se lo abbiamo bocciato? Io stavo compilando le
certificazioni di competenze…”
“Azz… io pure stavo compilando i moduli dell’alternanza… non mi
sono accorto di nulla… forse lo abbiamo bocciato o forse no…”
“Ma quante insufficienze aveva?”
“Credo cinque, sei, sette…”
“Azz… comunque, tu ascolta me. Non dire niente a nessuno. Anzi,
fingi di non sapere nulla, di non essere stato da nessuna parte, di non aver
incontrato nessuno stasera”.
“Hai ragione, silenzio come i carbonari!”
“Bravo!!”
“Però, che stress questi scrutini… quanto sono lunghi…”
“E che stanchezza, che ansia, che patimento…”
“Già, un vero e proprio dilemma.”
Altroché Shakespeare.
martedì 20 novembre 2018
venerdì 28 settembre 2018
"La grammatica della vergogna"