mercoledì 15 giugno 2022

             LO SCRUTINIO

Bocciare, o non bocciare, questo è il dilemma: se sia più nobile nel registro segnare colpi di impreparato e dardi d'oltraggiosa fortuna, o prender armi contro un mare d'asini e, opponendosi, por loro fine? Finire, finire…

Tuttavia non è questo il dilemma, ahimè, di ciò che conosciamo come “scrutinio”. 

Altra è la realtà, oggi, dell’ultimo atto della scuola italiana e di tutti i riti a esso legati. Ma andiamo con ordine. Lo scrutinio, al termine delle lezioni dei nostri tempi, non è più il luogo delle grandi decisioni o delle sofferte prese d’atto della bocciatura di qualche alunno che non ha mai aperto il libro. Primo, perché oggi per non farsi bocciare ti è consentito persino non aprire il libro tutto l’anno, magari in più discipline. Infatti, per ripetere un anno, devi almeno avere anche un voto basso o insufficiente nella valutazione del comportamento e, per arrivare a un cinque in condotta, devi avere compiuto un atto di vandalismo nei confronti di cose o persone. Insomma, se non hai dato fuoco all’istituto, non ti bocciano, mi dispiace. 

Secondo, perché pure in caso di diffuse e gravi insufficienze, l’alunno difficilmente viene fermato: intervengono a salvarlo in questo caso imponderabili “altre” ragioni di natura sociale o emotiva se non, nei casi più disperati, di natura sentimentale, per non far soffrire il misero adolescente immerso in una sedicente bohème esistenziale; o ragioni di natura affettivo-familiare, perché sul malcapitato pargolo si sono scatenate, nell’appena conclusosi anno scolastico, inaudite tragedie di portata alfieriana (ci scusi di nuovo il Bardo), tali da avere inciso in maniera indelebile sulla sua psiche o sul suo successivo sviluppo quale appartenente al genere umano. O, tra i casi non ancora contemplati, una ragione di tipo esiziale, ovvero la “discreta” presenza di un genitore-mamma, probabilmente anche lei insegnante, che perseguita tutto l’anno con richieste il consiglio di classe, il docente di religione e quello di lettere e, in un crescendo di senso di maniacale difesa da una persecuzione paranoica nei confronti della propria stirpe, il coordinatore di classe, considerato come il nemico numero uno. Senza tralasciare, sempre da parte della “mamma-docente-soiocomesifa”, un continuo propinare di suggerimenti e indicazioni sulla migliore modalità di gestione del gruppo classe e dell’inserimento nello stesso del proprio figliuolo che conosciamo già quale incredibilmente tormentato dal fato. Continuando poi, in un crescendo inarrestabile e di incontenibile espansionismo, a tempestare di messaggi sempre il malcapitato coordinatore, giorni festivi compresi e inaspettati orari notturni inclusi; fino a concludere la sua azione di intromissione nella scuola, sbraitando una serie di minacce a sfondo giudiziario e non solo, che la portano a bussare all’ufficio scolastico provinciale, a quello regionale, poi alla Cassazione e infine a qualsiasi ufficio, tribunale o corte, foss’anche alla corte regale di Carlo Magno. 

Eppure, questo non è il vizio principale dello scrutinio scolastico oggi. C’è un’altra malattia di cui soffre il rito più conosciuto e chiacchierato della scuola italiana. Questa malattia è l’indifferenza. 

Quale indifferenza, però? 

Quella, spesso involontaria e meccanica, dei suoi componenti, ovvero gli insegnanti. 

Perché, quando questi si riuniscono alla fine dell’anno scolastico per decidere la sorte dei propri prediletti, pensano proprio a tutto tranne che a questa cosa, cioè alla sorte conclusiva dei propri adorabili. 

Ebbene, sì. Gli insegnanti pensano al calendario degli scrutini, redatto già mesi prima dal dirigente dell’istituto con minacce improferibili e categorici rifiuti di qualsiasi spostamento o dilazione di orario: un calendario strettissimo, con cadenze tayloristiche e frotte di docenti che si alternano nelle varie riunioni, sforando ogni volta con immancabile tempestività i propri turni prefissati e accavallandosi dunque con gli orari degli altri, in un meccanismo infernale che spesso porta alle tenebre, sia naturali che intellettive. Queste frotte di docenti si presentano e si assiepano in aule afose, con un’aria stanca e disfatta, con visi diafani e orribili lembi di pelle cerea da maniche di abbigliamenti irrinunciabili per le temperature canicolari della stagione ma inguardabili da qualsiasi occhio umano. 

Gli insegnanti, poi, pensano alle innumerevoli incombenze amministrative e alle mille voci da riempire di un tabellone elettronico, proiettato vieppiù su schermi parietali che nessuno riesce mai realmente a focalizzare con le proprie misere diottrie restanti, fingendo in modo meschino di leggere e soprattutto di capire. 

Gli insegnanti si tallonano tra uno scrutinio e l’altro, rincorrendo firme di colleghi in fuga e guardando in cagnesco chiunque si frapponga al disperato tentativo di arrestare il collega rientrante a casa, nell’ingenua credenza di aver finito la propria riunione. 

Gli insegnanti interloquiscono tra di loro in un dialogo tra sordi, appellandosi a numeri sparati a casaccio per la stanchezza e la spossatezza causate da un’afa insopportabile e blaterando senza soluzione di continuità termini ed espressioni come “obiettivi trasversali”, “crediti integrativi”, “debiti formativi”, “deroghe riconosciute”, “percorsi di alternanza”, “certificazione di competenze”, “iniziative di sostegno” fino ad arrivare a un ineluttabile e quasi biblico proferimento, da parte di qualche incosciente ormai in procinto di collasso per soffocamento, di “sospensione del giudizio”. 

Ed è a questo punto che all’indifferenza subentra, in modo implacabile, la rassegnazione. 

Perché a questo punto delle operazioni si è giunti all'Armageddon, nel momento in cui si ripresenta agli occhi ormai ottenebrati e spauriti degli insegnanti la sagoma del dirigente o della dirigente che, accompagnata da una sinistra voce apodittica, proprio in prossimità delle “operazioni di termine dello scrutinio”, chiede agli astanti quali siano, nelle future settimane, i volontari per la partecipazione alle attività della “scuola d’estate”, fresca di nomina ministeriale e di benedizione collegiale. 

Questo è il punto preciso in cui il rito dello scrutinio si conclude, oppure s’interrompe o si tronca come una mutilazione, a seconda dei punti di vista e delle diverse apocalissi che ne seguono. 

Poi, come in tutti i riti escatologici, cala il silenzio. 

Rotto solo, in lontananza e in tono sommesso, da alcune flebili voci. Come quelle di prefiche angoscianti o di giaculatorie inconsolabili. 

Forse, mai avesse voluto un destino propizio, qualcuno può raccontare di aver potuto ascoltare tali parole. 

            “Ma, alla fine, Moretti lo abbiamo bocciato?”

            “Quale Moretti, scusa?”

            “Quello di 3^ C… tu non sei un insegnante del consiglio di classe?”

            “Sì… mi pare di sì… Moretti è quello con quella orribile testa rasta?

            “Sì, proprio lui”.

“Sai che non lo so se lo abbiamo bocciato? Io stavo compilando le certificazioni di competenze…”

“Azz… io pure stavo compilando i moduli dell’alternanza… non mi sono accorto di nulla… forse lo abbiamo bocciato o forse no…”

“Ma quante insufficienze aveva?”

“Credo cinque, sei, sette…”

“Azz… comunque, tu ascolta me. Non dire niente a nessuno. Anzi, fingi di non sapere nulla, di non essere stato da nessuna parte, di non aver incontrato nessuno stasera”. 

“Hai ragione, silenzio come i carbonari!”

“Bravo!!”

“Però, che stress questi scrutini… quanto sono lunghi…”

“E che stanchezza, che ansia, che patimento…”

“Già, un vero e proprio dilemma.” 

Altroché Shakespeare.

 


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